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Ogni volta che la mia famiglia si riunisce per festeggiare qualche ricorrenza, qualcuno finisce per raccontare un vecchio aneddoto, di quelli che ricorrono abitualmente in quelle giornate persave dalla nostalgia. La storia racconta di un bambino, il sottoscritto, che a soli tre anni era capace di riconoscere, con una rapida occhiata, qualunque modello di automobile gli si ritrovasse difronte. Nonostante loro mi vedano come un prodigio della natura, le mie capacità di memorizzazione non erano diverse da quelle di qualunque bambino della mia età. La questione era molto semplice: mi affascinavano le macchine.
Suppongo che avere un fratello giornalista, specializzato in sport motoristici, influenzò particolarmente la mia passione. All’età in cui i miei amici leggevano Asterix, io divoravo riviste Quattroruote, non mi perdevo un gran premio di Formula 1 per nessuna ragione al mondo e i miei idoli erano Sainz, Senna e Mansell. Pertanto, sin da quando ho avuto il primo computer, la percentuale dei giochi da corsa nel mio repertorio era decisamente alta. Dall’indimenticabile Grand Prix 2, da giocatore accanito, ho vissuto i momenti migliori tra il ruggito di un motore e l’odere di gomma bruciata.
Ecco perchè ho deciso di fare un salto alla Milestone, una delle imprese più importanti nell’ambito dei racing games e con quasi venti anni di esperienza nel settore. Inizialmente ho visitato i loro uffici in compagnia di Daniele Caso, responsabile del dipartimento comunicazioni: si respira una profonda passione per la velocità tra quelle mura. Successivamente, mi hanno fatto accomodare in una sala dove mi aspettava Irvin Zonca, design manager e responsabile di Ride, ultimo gioco prodotto che sarà disponibile sul mercato nei prossimi giorni. Colui che ha partecipato allo sviluppo di oltre 25 racing games, sembra la persona più adatta per aiutarci a capire quali vicissitudini permettono di trasformare in codice l’adrenalina che si avverte nel prendere una curva a 200 km orari.
Uno spettacolare playseat mi ha dato il benvenuto, ma Irvin, ironicamente, ha subito smorzato il mio interesse: «Non puoi portarlo via, mi dispiace”. Simpatia e cordialità sono state una costante nelle ore trascorse insieme; abbiamo condiviso un piacevole viaggio attraverso la storia di Milestone, i suoi progetti recenti e le aspirazioni future. Alla fine dell’intervista è stato inevitabile lanciare un’ultima occhiata al playseat e chiedere: Sicuro che non posso portarlo via?
LA STORIA DI MILESTONE, ESPERTI NELLO SVILUPPO DI GIOCHI DI VELOCITÀ
DOMANDA- Dal primo titolo della mitica saga Screamer, alla quale ho dedicato molte ore da bambino, Milestone si è dedicata esclusivamente allo sviluppo di giochi di corsa. Quali furono le circostanze che diedero vita allo studio del 1996? Da dove nasce questa passione per i motori e la velocità?
RISPOSTA- In realtà la passione per la velocità non è nata sin dall’origine dello studio. Antonio Farina, che ha fondato Milestone nel 1996, mi ha raccontato che all’inizio sperimentavano giochi di diverso genere. Dopo aver lanciato Screamer, il prodotto è andato talmente bene che si è passati a uno Screamer 2, poi a Screamer Rally, fin quando non è arrivata Electronic Arts che si è interessata al nostro SBK [gioco ufficiale del campionato del mondo di Superbikes]. Insomma, un gioco ha seguito l’altro. Nessuno aveva previsto di concentrare la produzione esclusivamente sui racing games. Ma nel campo dei videogiochi, se ti specializzi su un certo tipo di prodotto e hai anche un buon successo, diventa naturale continuare su quella strada. Se sai fare bene giochi di auto spostarsi su quelli di ruolo o sui shooter rende tutto il lavoro molto più complicato e inoltre potrebbe essere necessaria una tecnologia che forse non è disponibile per il tuo studio… Ecco perchè Milestone si è specializzata in questo genere.
D.- A livello personale, quali giochi ti hanno segnato per dare il via allo sviluppo di videogiochi di corsa?
R.- Io sono qui da 10 anni e il primo titolo a cui ho lavorato è stato S.C.A.R., in riferimento al quale ho fatto le mie prime esperienze come tester; ma sono abbastanza legato a tutti i titoli di Milestone. Quando è nato Screamer avevo undici anni e, come te, ci ho giocato tantissimo -ride-. Dopo è arrivato Superbikes 2001 e mi sono lasciato conquistare di nuovo. Poi, improvvisamente, si è presentata l’opportunità di lavorare qui ed è stato come chiudere un cerchio. Da ragazzino, quando giocavo, speravo di trasformare quella passione in un lavoro, ma era solamente una speranza. Essere qui oggi è come aver realizzato un sogno. Il bello di questa professione è che mi permette di fondere passione e lavoro; è bello svegliarsi ogni mattina e poter dire «sto facendo quello che mi piace». Ecco perchè conservo un bellissimo ricordo di ogni gioco, sia di quelli che ho realizzato che di quelli che ho solo giocato.
D.- Essendo il vostro uno studio specializzato in racing games, siete in contatto diretto con case automobilistiche, piloti, ingegneri… Immagino che per lavorare in Milestone non è sufficiente essere un buon programmatore o un buon designer, ma bisogna avere passione nei confronti di questo settore. Quali caratteristiche sono necessarie per lavorare in un’azienda come Milestone?
R.- Dipende dalla funzione che svolgi in azienda. Per esempio nel reparto di game design, il dipartimento da cui parte l’idea, dove viene sviluppato il concept iniziale, c’è una percentuale molto più alta di appassionati. Noi seguiamo il Moto GP, il WRC, il mondiale motocross e quando scriviamo i documenti di game design non dobbiamo fare grandi ricerche. Conosciamo già le caratteristiche dei piloti e dei veicoli. Ma anche in altri reparti si sviluppa questa passione: ci sono persone che sono state inserite in azienda con lo scopo di miglorare aspetti tecnici, semplicemente perchè sono molto brave nel loro campo. Non tutti all’inizio sono appassionati del motore. Ma col tempo si lasciano coinvolgere sempre di più. Per sviluppare i progetti al livello richiesto da Milestone si devono documentare e il risultato è che finiscono per diventare esperti nel settore.
«A volte, i piloti professionisti provano il gioco e ci dicono che è perfetto, poi arriva un tester che ci dice che non è realistico. È molto complicato mettere d’accordo tutti»
D.- Avete accumulato quasi 20 anni di esperienza in videogiochi di velocità. Qual’è la prova più difficile in vista della creazione di un gioco di corsa?
R.- Probabilmente la fase di definizione della propria esperienza di guida, ossia: la fisica, il movimento della macchina, il comportamento dei veicoli. Sicuramente ci sono decine di metodi da poter assumere. Pensa che un gioco come Moto GP o WRC è destinato a centinaia di migliaia di giocatori: possono giocare uomini, donne, persone di dieci o di cinquant’anni. Sulla base di ciò, è chiaro che esistono diversi modi di approcciarsi all’esperienza di guida. Noi cerchiamo, analizzando documenti e informazioni sul target, di creare giochi che inglobino caratteristiche compatibili con ogni tipo di giocatore. Ma l’aspetto più complesso è senza dubbio la fisica. Un menu, per esempio, può essere più o meno bello, pratico, semplice… ma il giocatore andrà sempre in gara. Giunti in pista, è fondamentale soddisfare le richieste dell’utente, ma non è affatto semplice. A volte, i piloti del Moto GP provano il gioco e ci dicono che è perfetto, poi arriva un tester e ci dice che non è realistico… e viceversa -ride-. È molto complicato mettere d’accordo tutti.
D.- Sono d’accordo, quando si parla di simulatori non dobbiamo dimenticare che il gioco deve essere divertente…
R.- Esatto, noi cerchiamo di giungere a un equilibrio tra simulazione e realtà, in maniera tale da far vivere un’esperienza divertente a chi ha il joypad in mano. Ma è veramente complicato e soprattutto soggettivo.
“Se prima creavi uno scenario con dieci alberi, adesso devi metterne il doppio. In questo senso la programmazione è caretterizzata sempre dallo stesso grado di difficoltà. Quello che è veramente cambiato sono le dimensioni dei team di sviluppo»
D.- Dal vostro esordio la tecnologia ha avuto una velocissima evoluzione. I videogiochi moderni sono molto più complessi di quelli di 10 anni fa, da ogni punto di vista. All’epoca era più semplice programmare?
R.- Non è cambiato molto, è sempre stato un casino -ride-. E’ tutto relativo al momento in cui ti trovi. Ti faccio un esempio stupido, ma esplicativo. Se su un gioco di Play Station 4 potessimo applicare la pista, la grafica e la fisica di PS3, sarebbe tutto molto più semplice, perchè una console più potente comporta meno problemi tecnici. Il gioco di sicuro funzionerebbe meglio. Il problema è che quando la console diventa più potente la gente si aspetta una grafica migliore, un suono migliore, ecc.. Ed è giusto che sia così, perchè investono in un nuovo sistema. Pertanto, se prima creavi uno scenario con dieci alberi, adesso devi metterne il doppio. In questo senso la programmazione è caretterizzata sempre dallo stesso grado di difficoltà. Quello che è veramente cambiato, da dieci anni a questa parte, sono le dimensioni dei team di sviluppo. Se per fare una pista su PS2 venivano utilizzati cento dettagli, su PS4 bisogna inserirne duemila e per sviluppare tutti questi particolari c’è bisogno di molte più persone. In altre parole, per un lavoro che prima potevano fare cinque professionisti riuniti in una stanza, oggi è necessario un team di 20 o 30 persone, distribuite in diversi laboratori, con project managers per coordinare il lavoro e così via… Questa è la maggiore diferenza.
D.- Avete creato tanti prodotti basati sulle principali competizioni del mondo del motore. Quali sono i principali vantaggi e quali gli inconvenienti del lavorare con marchi ufficiali?
R.- Il principale vantaggio è quello di avere un contatto diretto e unico con gli organizzatori delle competizioni. Per esempio, nel campionato di Moto GP ci sono tantissime case, tantissimi partners, produttori di pezzi di ricambio, circa 20 circuiti, ecc.. Ma dal momento in cui lavori con Dorna [impresa organizzatrice del campionato del mondo] finisci per avere un unico interlocutore. Noi lavoriamo a stretto contatto con loro e solo a loro giriamo tutte le nostre richieste: questo rende il lavoro molto più semplice. Ovviamente, sei obbligato ad avere un certo tipo di contenuto, non hai una grande libertà creativa. Il game design è in un certo senso limitato. Non puoi inserire altri metodi di gioco, o un circuito nel centro di Milano, anche perchè, per farti un esempio, quando lavori su un gioco licenziato, i giocatori si aspettano un’esperienza simile a quella che vedono in TV.
D.- Dal momento che stiamo parlando di prodotti autorizzati, mi sono sempre chiesto: perchè alcune aziende lanciano il gioco ufficiale del campionato quando la competizione sta per terminare? Che senso ha comprare un gioco che nel giro di un mese risulterà vecchio?
R.- Ottima domanda. Noi, al contrario di altre aziende, lanciamo il gioco ufficiale di Moto GP subito dopo l’inizio del campionato. Questo significa fare un grande sforzo, perchè a dicembre le nuove moto non sono ancora state presentate, quindi non possiamo disegnarle. Appena arrivano le foto iniziamo a lavorare. Altre aziende lanciano il prodotto a ottobre, dopo aver visto le gare e aver inquadrato le prestazioni delle macchine, ma per noi questo non ha senso. Preferiamo soffrire e correre come pazzi i primi tre mesi per raggiungere la qualità adeguata e offrire al giocatore un prodotto duraturo.
D.- In ogni caso, immagino che sarà molto più comodo sviluppare i progetti previsti per quest’anno, Ride e Sébastien Loeb Rally Evo, visto che si tratta di IPs potrete godere di libertà creativa e avere un controllo totale sul prodotto. Sei d’accordo con me?
R.- Si, senza dubbio. Prima ti parlavo dell’impossibilità di inserire un circuito urbano nel gioco del Moto GP. Nel caso di Ride, essendo una nostra IP, possiamo fare quello che vogliamo. Infatti, abbiamo inserito una pista ambientata a Milano. Lavorare con un prodotto di tua proprietà ti permette di fissare obbiettivi molto diversi tra loro. Il gioco del Moto GP ha determinate linee guida alle quali bisogna rimanere fedeli, perchè al giocatore piace fare il percorso che fa Valentino Rossi durante la sua carriera. Con Ride invece, cerchiamo di offrire un’esperienza nuova e fresca, nella quale il giocatore inizia con una moto basica e grazie ai propri progressi, guadagna crediti, sceglie che moto comprare, come modificarla e a quali gare partecipare.
“Con Ride cerchiamo di offrire un’esperienza nuova e fresca; sia sul piano creativo che per quanto riguarda l’esperienza di gioco»
RIDE, IL SIMULATORE DI MOTOCICLISMO DEFINITIVO
D.- Ride è la vostra prima IP, dopo aver accumulato anni di esperienza in videogiochi di motori basati su prodotti autorizzati. Come nasce l’idea di realizzare questo progetto? In un certo senso, Ride è la messa in pratica del DNA che Milestone ha acquisito durante questi anni?
R.- Essato. Sono venti anni che sviluppiamo racing games e abbiamo perfezionato il nostro sistema di fisica. A volte in questo genere di giochi si usano gli stessi parametri in varie edizioni. Nel nostro caso non è così, ogni anno, attraverso la ricerca e il testing, miglioriamo e sviluppiamo nuovi aspetti di questo sistema. Infatti, Ride offrirà un’esperienza molto diversa rispetto ai prodotti precedenti. Inoltre Milestone non si occupa unicamente di sviluppare videogiochi, è un’azienda completa e indipendente che conta su una struttura complessa: dipartimento di sviluppo, PR, produzione, publishing, ecc. Questa struttura ci permette prima di tutto di agire indipendentemente e infine di sviluppare un prodotto a 360º.
D.- Infatti, adesso siete diventati una grande azienda, sicuramente la più grande d’Italia nel settore dei videogiochi.
R.- Si, Milestone nasce come studio indipendente. Ai tempi di Superbikes ci occupavamo solamente dello sviluppo e, per esempio, Electronic Arts faceva il lavoro di publisher. Attualmente siamo noi a prendere tutte le decisioni: quali giochi sviluppare, in quali mercati proporli, come organizzare la rete di distribuzione. Ci sono intermediari che, in ogni paese, decidono che tipo di promozioni proporre, ma sviluppo e publishing dipendono da noi.
D.- Avete presentato Ride, per la prima volta, alla Milano Games Week di ottobre. Sei mesi dopo è quasi tutto pronto per il lancio. Immagino che siano stati mesi molto intensi, fatti di tensione e duro lavoro. È cambiato tanto Ride rispetto a quella versione?
R.- Assolutamente, ma la tensione ci ha accompagati anche nei mesi precedenti -ride-. Il progetto Ride è partito nel 2012 e contiene più di cento moto appartenenti a oltre dieci costruttori, tantissime marche e diverse parti customizzabili… Questo è il frutto di un grande lavoro che implica stabilire contatti con i produttori. Naturalmente il gioco è cambiato tanto negli ultimi cinque mesi, ma il risultato finale scaturisce da tre anni di lavoro. Nell’ultima fase, sulla base dei risultati che ci ha fornito la nostra equipe di testing, abbiamo migliorato il motore e certi aspetti tecnici. Ma abbiamo rivisto anche la fisica, il menu, le modalità di gioco, i modelli delle moto, ecc..
“È da più di 10 anni che non escono giochi con queste caratteristiche e sentivamo che era un niche di mercato molto interessante, soprattutto sulla base dei messaggi che ci inviavano i nostri clienti»
D.- In più di un’occasione, avete dichiarato che Ride si propone di essere il ‘Gran Turismo delle moto’. In effetti, la stessa Polyphony Digital, qualche anno fa, lanciò il suo ‘Gran Turismo delle moto’, Tourist Trophy. Vi siete ispirati al titolo di Yamauchi per la creazione di Ride?
R.- Sicuramente è stata una fonte d’ispirazione; da appassionato, l’ho giocato nel 2006. Era un prodotto molto bello, ma è stato dimenticato in fretta. Nel 2007 anche noi abbiamo pubblicato Superbikes Riding Challenge, ma da quell’anno non sono usciti altri giochi di moto di questo genere, orientati sulla guida stradale. Praticamente sono quasi 10 anni che non esce un gioco con queste caratteristiche e sentivamo che era un niche di mercato molto interessante, soprattutto sulla base dei messaggi che ci inviavano i nostri clienti. Avendo un know how nelle simulazioni di moto, volevamo proporre questo tipo di esperienza, tenendo sempre Tourist Trophy come modello. Per chi lavora in questo settore è necessario provare prodotti diversi, per prendere nuove idee e applicarle in altri progetti.
D.- E non vi spaventa il fatto che Tourist Trophy, nonostante la sua provenienza, non ha avuto un grande successo commerciale?
R.- No, non ci preoccuppa molto. Penso che Tourist Trophy non ha funzionato così bene come Gran Turismo, per il semplice fatto che è orientato verso un niche di mercato molto più specifico. Se ci pensi, tutti sappiamo guidare una macchina. Pertanto, per un prodotto come Gran Turismo è molto facile raggiungere un target ampio. In generale, gli amanti delle moto sono meno di quelli delle auto, ma è anche vero che l’appassionato di moto è un tipo di persona molto più fedele: quando gli viene proposto un gioco come Tourist Trophy o Ride, si incuriosisce ed è subito disposto a comprarlo. Crediamo che Gran Turismo ha fatto si che molti giocatori diventassero apassionati di motori e noi speriamo che Ride faccia lo stesso con le moto.
“Cerchiamo di marcare la differenza fra una moto e l’altra. La novità in questa nuova IP riguarda le diverse esperienze di guida offerte dai vari veicoli»
D.- Come hai detto prima, il motore grafico su cui si basa Ride è di vostra proprietà. Quali sono i vantaggi del lavorare col vostro motore?
R.- È un motore che ha debuttato su Moto GP e che con il tempo si è evoluto e migliorato. Il principale vantaggio è la possiblità di lavorare cross platform, mentre a volte gli engine di terzi sono molto più restrittivi. Inoltre conosciamo tutte le caratteristiche del motore e possiamo customizzarlo in base alle esigenze del prodotto. Per esempio, su Ride abbiamo introdotto il sistema di customizzazione della moto, un’opzione di cui non avevamo mai avuto bisogno prima.
D.- Avete inquadrato Ride come un vero e proprio simulatore? Esistono grandi differenza rispetto all’esperienza di guida che offre la serie Moto GP?
R.- Assolutamente si, per due motivi. Innanzi tutto perchè sono prodotti che offrono ai giocatori esperienze completamente diverse e anche perchè c’è una bella differenza tra moto da corsa e moto da strada: gli angoli di inclinazione sono diversi, le condizioni di grip variano, ecc.. Cerchiamo di marcare la differenza fra una moto e l’altra sulla base di: cilindrata, potenza e peso. La fisica di base, come la forza di gravità, inerzie, peso del veicolo, è uguale nei due mondi; quello che fa la differenza in questa nuova IP sono i particolari che distinguono una moto dall’altra.
D.- Avete lavorato con fisiche indipendenti per piloti e moto?
R.- Si, la nostra fisica gestisce due entità distinte: la moto, con il suo peso specifico, il suo baricentro e la sua inerzia; e il pilota, il cui spostamento influenza il movimento della moto. Sarà necessario regolare la posizione del pilota perchè la moto acquisisca la stabilità adeguata. Sono due entità indipendenti che lavorano insieme, regalando al giocatore la sensazione di guidare una moto vera.
D.- Oggi, data la nuova generazione di console, mi incuriosisce che abbiate preparato versioni anche per PS3 e XBOX360. Lo sviluppo di giochi per vecchi sistemi, suppone limitazioni in vista del risultato finale? I contenuti saranno gli stessi in tutte le versioni?
R.- I contenuti saranno assolutamente gli stessi. Ovviamente gli aspetti tecnici delle versioni current gen sono decisamente più complessi. In questo senso le differenze saranno marcate. La decisione di continuare a pubblicare per le versioni old gen è scaturita, tre anni fa, da un’indagine di mercato che prevedeva che queste console sarebbero state ancora attive. E non ci siamo sbagliati -ride-.
“Sarà necessario regolare la posizione del pilota perchè la moto acquisisca la stabilità adeguata. Sono due entità indipendenti che lavorano insieme»
GUARDANDO AL FUTURO
D.- Nelle generazioni passate, spesso sono sorte critiche da parte degli sviluppatori riguardo alla complessità, a livello architettonico, di questi sistemi. Dopo aver pubblicato diversi titoli in PS4/ONE, risulta un po’ più semplice programmare per le nuove console?
R.- È vero, programmare per PS3 era molto difficile. La sua architettura era molto diversa dal resto delle piattaforme. XBOX360 era simile al PC, gestiva tutti i modi di calcolo in modo semplice. Il vero problema era come portare il gioco a PS3, un sistema molto più complesso. Probabilmente un team dedicato esclusivamente a programmare su PS3 sarebbe in grado di raggiungere ottimi risultati. Ma la realtà era che chi sviluppava in diverse piattaforme faceva prima le versioni per PC e XBOX, poi quelle per PS3. Per questo, nei primi anni della scorsa generazione tutti i giochi multipiattaforma trovavano la sua miglior versione in XBOX. Noi sviluppatori, abbiamo avuto bisogno di anni per adeguare la tecnologia a PS3. Questo problema non è così notevole nelle nuove console.
D.- Poco tempo fa mi si è presentata l’occasione di provare Oculus e ho immediatamente pensato alle oppurtunità che potrebbe offrire nei giochi di velocità. Questo non sarebbe il genere più adeguato a cui applicarlo?
R.- In teoria si, lo avevamo pensato anche noi. La realtà è che si tratta di una tecnologia che funziona bene in un sistema in cui non sono previsti molti movimenti. Per rimanere seduti su una sedia a osservare la stanza è splendido -ride-. Ricordo quando ho provato una delle prime dimostrazioni, dove potevi visitare una villa in Toscana. Se stavo fermo la sensazione era bellisima, mi sembrava di essere lì. Ma quando iniziavo a fare movimenti di strafe o provavo a salire le scale velocemente, mi faceva venire la nausea. Probabilmente sarà una splendida innovazione, che si rivelerà utile anche in altri settori. Ma c’è ancora molto lavoro da fare. Credo che ci vorranno anni prima che sia pronta per la commercializzazione a grande scala.
«In Ride abbiamo implementato un sistema di IA simile a Drivatar, grazie al quale sarà possibile sfidare i propi amici anche se sono off-line»
D.- Una delle grandi sfide di un disegnatore di racing games è fare in modo che l’intelligenza artificiale risulti competitiva e realistica allo stesso tempo. Il sistema Drivatar, utilizzato per Turn 10 in Forza Motorsport 5 e conservato nel Forza Horizon 2 si è guadagnato lodi della critica e del pubblico. L’adozione di sistemi di IA basati sulle azioni reali dei giocatori è il futuro dei giochi di velocità?
R.- Penso di si. In generale, competere con un’intelligenza artificale tradizionale non è così coinvolgente. Sfidare un amico risulta molto più realistico, interessante e soprattutto divertente. Infatti Ride si baserà su un sistema simile, grazie al quale sarà possibile sfidare i propi amici anche se sono off-line.
D.- Mi risulta che la vostra azienda prende molto in considerazione i suggerimenti dei vostri fans e, in più di un’occasione, finite per metterli in pratica nei vostri nuovi prodotti. Non credi che è qualcosa che gli studi di sviluppo dovrebbero fare più spesso?
R.- Si, assolutamente. La componente sociale non è parte del prodotto, non è inerente al videogioco. Le reti sociali offrono tantissimi vantaggi alle aziende, ma non solo per sviluppare azioni promozionali. Sono anche un mezzo per arrivare al consumatore, al tuo target, e in base alle sue richieste, migliorare prodotti e servizi. Si tratta di offrire la massima qualità, garantendo al giocatore un alto livello di soddisfazione.
D.- Milestone è uno studio molto produttivo. Ride sta per uscire, intanto avete già lanciato la versione per PS4 di MXGP (gioco del campionato del mondo di motocross), e inoltre state lavorando al vostro prossimo progetto, Sébastien Loeb Rally Evo. Cosa ci puoi anticipare del vostro nuovo gioco?
R.- Sarà un gioco indirizzato a chi vuole riprodurre il vero ambiente del rally. Il fatto di associarsi a un pilota come Sébastien Loeb, nove volte campione del mondo, chiarisce le nostre intenzioni. É il ‘Re del Rally’ –ride-, oggi nessuno meglio di lui rappresenta questa disciplina. Sviluppare un titolo insieme a questa figura dimostra subito ai giocatori l’ottica con cui sviluppiamo questo prodotto. Non vogliamo semplimente fare un altro gioco di guida, vogliamo fare il gioco di rally per eccellenza. Pertanto ci saranno tracciati iconici per gli appassionati, macchine di ogni epoca e così via. Posso anticipare che sarà un gioco assolutamente orientato ai fanatici della guida fuori strada.
D.- Fino a che punto sta collaborando Loeb nel processo di sviluppo? Cosa si prova a lavorare fianco a fianco con chi è stato per nove volte campione del mondo di rallies?
R.- È una figura fondamentale nello sviluppo. Lui viene spesso qui in azienda, e per noi è sempre una giornata di grande emozione. Siamo orgogliosi di questa collaborazione, perchè ovviamente una figura come lui non inizia un progetto come questo con chiunque. Significa che anche Milestone ha un’alta credibilità nel settore. Lui ci aiuta su molti aspetti, ma soprattutto per il gameplay. Una persona che ha guidato al più alto livello per venti anni, ovviamente, ti può dire se stai andando nella direzione giusta o no.
“Di Sébastien Loeb Rally Evo vogliamo fare il gioco di rally per eccellenza. Ci saranno tracciati iconici per gli appassionati, macchine di ogni epoca e così via. Posso anticipare che sarà un gioco assolutamente orientato ai fanatici della guida fuori strada»
D.- L’esperienza aquisita nella saga WRC sarà di sicuro molto utile in vista dello sviluppo di Sébastien Loeb Rally Evo. Come state inquadrando il prodotto? Sarà ancora più rigoroso nella simulazione?
R.- L’idea è proprio quella, abbiamo intenzione di offrire ai fans un’esperienza completa sul mondo dei rallies. Cerchiamo di riprodurre fedelmente le sensazioni che determinati terreni o situazioni dovrebbero trasmettere. Per noi è un capitolo completamente nuovo, abbiamo cominciato da zero… Ma non posso raccontarvi molto, dovrete aspettare l’autunno.
D.- Parliamo del futuro. I vostri primi giochi erano esclusivamente per PC, successivamente con Racing Evoluzione siete passati alle console. Ultimamente avete anche esplorato il mercato portatile. Il prossimo passo sarà produrre per telefoni e tablets?
R.- Ci abbiamo pensato e abbiamo fatto anche degli esperimenti in passato. Sicuramente sono mercati che stanno crescendo e sono molto ricettivi con i videogiochi. Io e te siamo cresciuti con Nintendo, i bambini oggi crescono con l’iPad -ride-. Ma per il momento ci concentriamo su console e PC.
D.- Siete lo studio italiano di sviluppo più importante a livello globale, ma questo orientamento internazionale non vi ha impedito di manifestare quell’orgoglio nazionale tipico degli italiani; lo avete dimostrato anni fa con S.C.A.R. dedicandolo esclusivamente ad Alfa Romeo. Vedremo ancora un prodotto con queste caratteristiche? Un nuovo S.C.A.R. dedicato a Ferrari o Lamborghini sarebbe molto interessante.
R.- Ogni tanto ci pensiamo, ma oggi, dato il contesto di mercato, è più difficile fare un gioco basato su un unico brand. I gusti dei giocatori sono cambiati, adesso chi compra un gioco di guida si aspetta di trovare un ampio elenco di macchine. In passato abbiamo proposto S.C.A.R. e circolava anche un Need for Speed dedicato alla Porsche… ma oggi, un gioco dedicato alla Ferrari, anche se è ottimo, non siamo sicuri che funzionerebbe. Il giocatore attuale è molto esigente, se gli dai A vuole B e se gli dai B vuole A. Allora gli devi dare allo stesso tempo A e B -ride-.
D.- In Spagna, il settore dei videogiochi vive il suo miglior momento, le vendite sono in continua crescita e si sta allargando la produzione indipendente, che ha già presentato progetti molto interessanti. Qual’è la situazione del mercato dei videogiochi in Italia?
R.- Sta succedendo la stessa cosa anche in Italia. Prima c’era Milestone e poco altro, oggi stanno sorgendo moltissime società, più piccole ma decisamente attive. Inoltre stanno nascendo nuove scuole di formazione, programmi universitari, cose che fino a poco tempo fa erano impensabili. Anche il giocatore italiano è diventato molto più attivo. Si organizzano GameJams in tutte le città. L’Italia sta crescendo in questo senso ed è senza dubbio molto positivo.